venerdì 22 novembre 2019

La congrega

Non crederete a ciò che mi è successo oggi. Terrore vero. Devo denunciare.
Ero lì che volevo scrivere un racconto. Parla di un vecchio che prepara l’impasto per la pizza.
Il vecchio è piegato in avanti, ha già controllato la temperatura, ha calcolato il lievito da aggiungere, le quantità di acqua e farina. Conosce il suo mestiere, gli piace sporcarsi le mani, impastare come si faceva un tempo. Ogni volta che – raramente a dire il vero – qualcuno lo passa a salutare, ripete sempre la stessa battuta: “Mi hai beccato con le mani in pasta”, e ride. E impasta, con quelle mani sapienti, mani…
Ecco, io a quel punto dovevo scegliere un altro aggettivo per definire le mani del vecchio. Facile, direte voi. Legittimo, ce ne sono tantissimi di aggettivi, per esempio: mani forti, mani delicate, mani calde, ruvide, vissute, stanche, pesanti, vellutate, subdole, abili, spietate, assassine, chessò… monche! Ecco, mani monche potrei dire. Colpo di scena? Il vecchio impasta con dei moncherini? Esagerato, penso. Poi vengo distratto, sento dei rumori provenire dalle scale.
Saranno i soliti vicini chiassosi, mi dico. Continuo a pensare a un aggettivo da dare a quelle mani. Provo a vederle. Mani grandi, o piccole, mani molli come l’impasto, mani sporche… sì, ho deciso: il vecchio è uno zozzone che impasta con le mani sporche. Ciò renderà l'impasto più saporito. No, troppo banale...
È a questo punto che sfondano la porta. Sfondano la porta di casa mia! Entrano uomini incappucciati, anche dalla finestra, schizzano i vetri, mi devo riparare con le braccia, piombano uomini dal soffitto. Mi circondano, s’impadroniscono della tastiera.
«Chi siete, maledetti malefici malvagi!» urlo.
«Siamo la Congrega» rispondono loro, cortesemente.
«La Congrega? Che Congrega?»
«La Congrega dei racconti sul web.»
Sono sbalordito. Ne avevo sentito parlare, ma avevo creduto fosse la solita bufala. Non replico.
«Tu vuoi scrivere un racconto, ci risulta.»
«Beh. Stavo. Per l'appunto.»
«Eh, stavi, stavi. Cosa stavi scrivendo, le mani…?»
«Le mani… boh, stavo per scrivere "sporche".»
Gli incappucciati si agitano. Confabulano. Bisbigliano. Tramano, osservandomi dalle fessure dei loro passamontagna. Uno di loro, l'incappucciato Alpha, sbatte la tastiera sul pavimento. Tutti i tasti saltano in aria e si sparpagliano a casaccio sulle mattonelle. Eccheccazzo! Sembra uno Scarabeo finito in rissa.
Sono terrorizzato. Quelle lettere lì sul pavimento potrebbero voler dire qualsiasi cosa. Le mani del mio vecchio impastatore rimarranno per sempre senza aggettivo.
E invece ecco che un incappucciato si china, quasi si sdraia sul pavimento e comincia a recuperare alcuni tastini col dito. Altri adepti della Congrega mi tengono fermo; uno di loro mi afferra la testa, me la spreme coi polpastrelli, mi direziona e mi obbliga a guardare.
Con i MIEI tastini della MIA  tastiera hanno formato una parola:

N O D 0 S E.

(La seconda O non c'era, hanno dovuto usare lo zero), ma non capisco comunque... “Nodose”. Cosa caz…
«Mani nodose!» gridano in coro.
Il loro capo avanza verso di me.
«Se vuoi scrivere racconti, se vuoi scrivere racconti pubblicabili, intendo, le mani devono essere nodose. Hai capito? Non c’è altra soluzione. Se vuoi esistere, se non vuoi pestare i piedi alla Congrega dei racconti, ricorda: come sono le mani?»
«Nodose», dico io, che ho capito l’antifona.
«Ti teniamo d’occhio, ragazzo», e mi fa il gesto: quello delle due dita sugli occhi che poi punta come una forchetta verso di me.
Se ne stavano per andare quando quello torna indietro e mi dice «come pesano le cose?»
«Cosa?»
«Ti ho chiesto come pesano le cose, le cose, lo sai come pesano?»
«Cosa?»
«Da che paese vieni?»
«Cosa?»
«Cosa è un paese che non ho mai sentito nominare... Lì parlano la mia lingua?»
«Cosa?»
«La mia lingua, figlio di puttana, tu la sai parlare?»
«Siiiì»
«Allora dimmi: le cose, come sono pesanti?»
«Cosa?»
«Di' cosa un'altra volta! Di' cosa un'altra volta! Ti sfido, due volte, ti sfido figlio di puttana, di' cosa un'altra volta!»
«Come macigni! Le cose pesano come macigni!»
«Bravo! Macigni. Lo vedi che lo sai? Puoi fare strada, ragazzo. Ricapitoliamo: mani?»
«Nodose».
«Come pesano le cose?»
«Come macigni».
«Non c'è altro modo, ragazzo».
Poi sono scomparsi. C'è mancato poco. Ora non lo nego, ho paura. Ma ho voluto raccontarvi questa storia che pesa come un macigno affinché nessuno subisca più quello che ho dovuto subire io. Mi raccomando, se dovete scrivere un racconto, fate attenzione: le mani sono sempre “Nodose”. Fateci caso, non fate cazzate. Non osate.
È stata dura da raccontare, anche perché sono ancora sotto choc e ho dovuto scrivere con le mani tremolanti nodose. Nodose, cazzo. Ho dovuto scrivere con le mani nodose. 

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