mercoledì 7 luglio 2021

Tisanina n° 13


 Lupo Cerbiatti

Dire che Lupo Cerbiatti soffra di mutismo selettivo è come dire che un eunuco non ami il sesso, è come dire che un comatoso non ami la vita. Non solo è errato, ma è scambiare l'epifenomeno per il fenomeno, laddove il vero fenomeno è solo e soltanto Lupo Cerbiatti. Beh sì, perché il fatto che Lupo non spiccichi più una parola da anni, è in realtà la sana risposta a una forma grave di fonomorfismo che, per chi non lo sapesse, è quella malattia che colpisce una persona su miliardi (Lupo Cerbiatti solamente) e che fa sì che tutto ciò che Lupo Cerbiatti dica, diventi una roba vera.

È chiaro che per roba vera qui non s'intendono predizioni, premonizioni, presagi, ma roba che va sulle proprie gambe, roba col libero arbitrio.

Non è un fatto riscontrabile sul momento, il malato di fonomorfismo non vede materializzarsi all'istante ciò che dice, è come se le sue parole fossero semi che il vento porta dove vuole, poi finiscono dove capita, germogliano e si rifanno una vita. 

La prima volta che ne prese coscienza fu in un bar di calle Malabares (stava in vacanza in un posto spagnoleggiante, con le palme, i cocktail, era spensierato), quando gli presentarono uno che si rivelò inequivocabilmente un suo discorso di gioventù.

Era tale e quale a come l'aveva pronunciato tanti anni prima al compleanno di sua madre. Solo più cresciuto, ora quel discorso era diventato un giovanotto, ben vestito, davvero una brava persona. Aveva ancora degli ideali.

Lì per lì Lupo disse le cose che si dicono sempre, restiamo in contatto, vediamoci qualche volta, almeno per una pizza, m'ha fatto tanto piacere, sì certo come no. In realtà da quella notte non riuscì più a chiudere occhio, né a parlare, ecco qua.

Si ossessionò al pensiero di quante (figlie? come chiamarle?) creature uscite dalla sua bocca potessero abitare il mondo. E non solo: che razza di persone erano diventate? Tutte rispettabili come quel suo discorso celebrativo? Fra l'altro sembrava che la vita fosse andata davvero bene a quel discorsetto, meglio che a lui, che viaggiava su una Panda incidentata, mentre quello su che macchina era montato? Una lucida e fiammante gli era parso di vedere. E gli altri suoi discorsi? Dov'erano, chi erano, di cosa si occupavano?

Assecondando una serie di paranoie finì per chiudersi in casa, rimuginando sulle litigate più inutili che aveva avuto durante la vita, aveva augurato cancri, aveva detto cose come "ti dovrebbero ammazzare", aveva detto certe cose così tremende che ora, se guardava il telegiornale, pensava che era tutta colpa sua.

Un altro incendio doloso...

Massacro in una scuola elementare, un ragazzo armato di mitra...

Non hanno rispettato il cessate il fuoco...

Forte calo della natalità... e certo, non parlo più!

Non poteva più addormentarsi, Lupo Cerbiatti chiudeva gli occhi e faceva gli incubi, sognava tutti quei discorsi armati affollare le vie del quartiere, le parole di vendetta le immaginava a tramare nelle fogne. Quand'era troppo stanco, la mente riusciva a rilassarsi e sognava le parole dolci, poche, quelle che qualche volta gli erano sfuggite mettendolo in imbarazzo. Eccole trucidate dall'esercito più nutrito delle frasi violente, loro sì, meglio organizzate, puntuali, precise, risalivano dai bassifondi della psiche e finivano il lavoro.

E allora si tormentava per la scarsa produzione di parole di conforto, che pure aveva pensato ma non aveva osato dire quasi mai, e le aveva condannate a vivere nei campi, nei ghetti, senza diritti. E non si dava pace, vedeva le frasi di circostanza girare come zombie per la città, buongiorno, buonasera, condoglianze, la capisco, affollavano i caffè quei mostri, viaggiavano in metropolitana con lo sguardo basso. Facevano carriera.

E tutti quegli "io" che aveva pronunciato? Che folla agghiacciante di io, io, io, io, io, io, io, io, io, io, una sfilza di manichini con uno specchio sottobraccio, io, io, io, io, io, che si sentivano speciali e invece erano tutti uguali. La città piena di gente che si specchiava.

E si sa che di fronte a uno specchio, uno vede il contrario di sé stesso. Così nessuno potrà avere mai la percezione del proprio danno, pensò Lupo Cerbiatti specchiandosi a sua volta, vedendo che l'immagine riflessa, nonostante avesse scelto di tacere, continuava a parlargli in mille modi. Col corpo, con lo sguardo, col tremore, sembrava dirgli "non hai scampo".

Così Lupo ordinò un megafono. Se lo fece arrivare a casa con l'intenzione di cambiare l'ecosistema. Voleva reintrodurre alcune specie di parole.

Prese un libro di poesie dalla libreria, si affacciò al balcone e cominciò ad urlare.

L'illustrazione è opera di Narratto



















2 commenti:

Germana ha detto...

Grazie per la tisana “Uomo con il megafono” 📣

Ciro Teleffe ha detto...

🙋‍♂️📣